La bolla delle parole
Senza entrare nella vicenda giudiziaria, una cosa è certa: dopo l’arresto di Marco Astorri, fondatore e presidente del cda di Bio-on, “startup” bolognese (le virgolette stanno ad indicare le dimensioni raggiunte dall’impresa, la cui valutazione superava il miliardo di euro) che prometteva i miracoli della bio-plastica, la bolla è esplosa. Non quella delle startup e dell’innovazione, che in Italia continua a produrre, a dispetto di un intero sistema, progetti interessanti e fatturato vero. Ma quella della comunicazione dell’innovazione. Astorri è accusato di aver adottato una strategia comunicativa “roboante e ammiccante” volta a manipolare il mercato. Per un titolo quotato in borsa si tratta di un’accusa molto seria per gli effetti che ha sulle tasche di investitori e azionisti. Le accuse della procura sono quelle di aver annunciato maxi-accordi mai siglati, di aver denunciato una capacità produttiva di 1000 tonnellate/anno contro le 19 prodotte nel corso del 2019 nello stabilimento di Castel San Pietro. «Le false informazioni sono risultate funzionali ad accrescere la capitalizzazione e a rendere più appetibili sul mercato le azioni della società», sostengono gli inquirenti dell’operazione Plastic Bubbles. Diceva Astorri in una intercettazione: «Abbiamo sbagliato a scriverlo, va bene, mi prendo il mio pezzo di responsabilità ma non è solo colpa nostra. È colpa del sistema che ci ha indotto a fare queste comunicazioni». La verità la stabilirà la magistratura: le accuse vengono da un fondo di investimento americano e l’intrico di interessi non sarà facile da sciogliere.
Ma è chiaro che questo caso farà storia e “giurisprudenza” nel mondo della comunicazione. Così come l’ha fatto, a livello internazionale, il caso Theranos. Attrarre l’enorme mole di capitali a caccia di innovazione è diventato un business nel business che si nutre più di storytelling e packaging che di fatti e tecnologia. Dal 2012, anno del Decreto Passera che ha dato vita al sistema italiano che incentiva l’innovazione, la vera bolla gonfiatasi è stata soprattutto quella comunicativa: progetti ancora sulla carta comunicati come fossero già realtà; storie eroiche costruite su fatturati da Partita Iva; illusioni da zero virgola spacciate per prospettive industriali del Paese. Se in una prima fase, nell’uscita dalla Grande Crisi, una simile narrazione ha avuto anche una sua funzione per ridare speranza e tentare di accendere un faro contro tutto ciò che andava in direzione ostinata e contraria al brain drain che affligge il nostro Paese, nella fase di maturità in cui l’ecosistema delle startup è entrato nulla è più giustificabile. E non lo è da molti anni. E’ anche un’autocritica per chi, come il sottoscritto, nel giornalismo e nella comunicazione dell’innovazione lavora da alcuni anni. Un invito a tutti ad alzare l’asticella. Le tossine di una comunicazione dopata fatta a suon di marketing più che di deontologia giornalistica, hanno inquinato il sistema. Scovarle, come scovare le fake news, non è sempre semplice. Serve professionalità, conoscenza del settore e metodo: tanto da parte di chi comunica che da parte dei giornalisti specializzati. E una buona dose di etica.
Luca Barbieri
cofounder Blum
(editoriale pubblicato il 25 ottobre 2019 dal Corriere di Bologna)