Bitcoin, l’oro digitale. Dieci anni vissuti pericolosamente
Quella di bitcoin è la storia degli ultimi dieci anni (e più) di tecnologia. Mentre il mondo scopriva il potere dei social network e gli utenti la comodità del web, nel sottobosco di internet la criptovaluta coniata da Satoshi Nakamoto (pseudonimo dietro cui si nasconderebbero fior fior di informatici) poneva le basi per la nascita di un esperimento economico, politico e sociale decentralizzato.
Volatile per sua natura, bitcoin è stato spesso bollato come un’avventura spericolata e speculativa, addirittura pericolosa a detta di alcuni regolatori del mercato. Eppure, anno dopo anno, la più famosa delle criptomonete ha convinto aziende e multinazionali a investirci. Chi una parte, chi l’intera tesoreria come la statunitense MicroStrategy di Michael Saylor, la società quotata che controlla più bitcoin a livello globale. Ma è in buona compagnia: a febbraio Tesla, la società automotive più capitalizzata di tutte, ha investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin.
El Salvador apripista
Definito dai suoi sostenitori come oro digitale, bitcoin ha registrato performance in continua crescita nell’ultimo decennio – come si legge nei report del think tank italiano Digital Gold Institute – arrivando a valere, nel 2021, 50mila dollari per la prima volta nella sua storia. Traguardo che ancora non convince diversi istituti bancari, anche se paesi come la Germania si stanno già muovendo per aprire le porte di questo mondo agli attori tradizionali: Berlino, infatti, ha deciso che i fondi istituzionali tedeschi possono tenere fino al 20% delle proprie risorse in criptovalute.
A muoversi non sono soltanto le economie maggiori: El Salvador ha approvato quest’estate la Bitcoin Law, tanto voluta dal presidente Nayid Bukele per dargli corso legale in un piccolo paese dove gli scambi avvengono in dollari. Nella geografia bitcoin c’è molto sud e centro America: ci stanno ragionando Stati come l’Argentina, dove il presidente Alberto Fernandez non ha escluso l’ipotesi che il paese adotti bitcoin sulla scia di quanto accaduto a El Salvador; di recente anche Cuba ha deciso che accetterà bitcoin e altre crypto per i pagamenti sull’isola. Tra i cittadini, in generale, l’attenzione arriva dai cosiddetti unbanked, ossia persone che non hanno conti in banca e che su bitcoin vedono un asset di investimento profittevole.
Cina controcorrente
Non si potrebbe però fotografare l’ecosistema tralasciando il ruolo che ha avuto la Cina in tutti questi anni: le mining farm, necessarie per garantire la sicurezza del sistema e validare le transazioni tramite hardware, hanno sempre più bisogno di energia. Troppa secondo Pechino, che ha dunque deciso di chiuderle tutte per seguire la propria via verso la sostenibilità. La fuga dei “minatori” ha preso strade diverse, alcune delle quali hanno condotto in hub degli Stati Uniti, come Houston, dove sono presenti comunità di bitcoiner molto forti.
Il nodo dei costi ambientali fa pentire Elon Musk?
Centrale come per qualsiasi altro ambito, il tema della sostenibilità sta investendo anche il settore bitcoin. Al punto tale che Elon Musk, pochi mesi dopo aver annunciato che avrebbe accettato bitcoin come metodo di pagamento per le auto elettriche di Tesla, ha fatto marcia indietro, rinviando l’opzione a data da destinarsi (vale a dire quando bitcoin inquinerà di meno). È scontato che i miner vadano là dove l’energia costi di meno: la sfida attuale e futura per gli Stati è rendere convenienti e accesibili sempre di più le fonti green per alimentare una macchina che, per forza di cose, richiede energia come qualsiasi attività umana. Gli esperti avvertono infatti che la prospettiva è di una richiesta sempre maggiore, dal momento che bitcoin potrebbe arrivare a valere anche 100mila dollari nei prossimi anni. Se non di più.
Alessandro Di Stefano
Innovation content specialist, Blum
Immagine di copertina: di Bermix Studio da Unsplash
Infografiche: Digital Gold Institute