Giulio Buciuni racconta le imprese “plug-in” e un nuovo modello di sviluppo industriale
«Imprese che si comportano a tutti gli effetti come delle startup tecnologiche ma, a differenza delle startup digitali “alla Silicon Valley”, che sono agnostiche rispetto ai settori industriali, hanno una corrispondenza molto puntuale con alcune delle principali filiere del Made in Italy, tra cui le produzioni agrifood, tessile, automotive».
Nelle parole di Giulio Buciuni, che Luca Barbieri ha intervistato nel video che vi proponiamo, è una delle possibili definizioni delle imprese “plug-in”, neologismo coniato dall’economista docente di Business Innovation presso la business school del Trinity College Dublin nel suo ultimo saggio Innovatori outsider. Nuovi modelli imprenditoriali per il capitalismo italiano (Il Mulino, 2024). Un libro che in parte prosegue il discorso cominciato un anno fa con il saggio Periferie Competitive. Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza scritto con Giancarlo Corò.
L’analisi di Buciuni parte dal delineare il macro-contesto in cui oggi le imprese operano, quello dell’economia della conoscenza, in cui l’innovazione tecnologica tende sempre più a concentrarsi in pochi grandi hub mondiali, metropoli in cui attorno a grandi imprese, università e centri di ricerca si concentrano competenze e capitali. Un contesto globale in cui le province industriali italiane rischiano di diventare luoghi marginali: da un lato, infatti, le startup innovative secondo il modello della Silicon Valley fanno fatica ad attecchire nel nostro contesto industriale, dall’altro le tradizionali piccole e medie imprese (pmi) spesso non dispongono del capitale umano, tecnologico e finanziario necessario a innovare i propri prodotti, processi e modelli di business.
È nel cuneo tra queste due dimensioni che si inserisce la spinta innovativa e creativa di una terza tipologia imprenditoriale: sono le imprese “plug-in”, appunto, che l’autore ha studiato tra il 2023 e il 2024 e di cui nel libro racconta approfonditamente otto storie, dal Veneto alla Puglia, dalla Campania all’Emilia alla Toscana.
Imparando da questi esempi concreti, è la tesi del libro, il modello dei distretti industriali, che ha fatto la fortuna dell’Italia a partire dagli anni Settanta, può mutare pelle trasformandosi in un ecosistema in cui convergono le tradizioni produttive locali e le modalità tipiche del mondo delle startup.