Social e potere. La libertà d’espressione può essere «privata»?
La notizia dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, che del social network in questione è sempre stato grande utilizzatore, ha riportato al centro del dibattito pubblico quella che è anche la più grande incognita circa il modo in cui Twitter cambierà nei prossimi anni: il rapporto tra il principio della libertà di espressione e le limitazioni che i provider di servizi come i social network, che sono delle aziende private, applicano a questo principio.
Se da un lato la scalata di Musk, secondo molti osservatori, è motivata anche dalla volontà di rendere Twitter un luogo scevro da ogni moderazione dei contenuti, dall’altro va osservato come negli ultimi anni i principali social network abbiano moltiplicato i loro sforzi per arginare sia la diffusione dell’odio e della violenza verbale, sia le notizie false.
In linea di principio non ci sarebbe nulla di problematico: che le notizie false e il cosiddetto hate speech rappresentino un problema sociale è una considerazione condivisa dai più, e infatti non è questo l’oggetto del contendere. Il fulcro del dibattito è il ruolo che hanno i social network, in quanto aziende private investite di una funzionalità del tutto pubblica, nel decretare quale sia un contenuto violento, o falso, e in ultima istanza chi possa o non possa mantenere il suo diritto di parola su quella piattaforma.
Trump, you’re fired!
Il punto più estremo di questo cortocircuito si è concretizzato il 6 gennaio 2021, con la sospensione «all’unanimità» degli account social dell’allora presidente uscente americano Donald Trump a poche ore dall’insurrezione in Campidoglio.
Trump fu sospeso in seguito alla pubblicazione di video che rischiavano, a detta delle stesse piattaforme, di inasprire gli scontri in corso. Il tema fu subito chiaro: dato il ruolo pubblico dei social network, in quanto medium utilizzato da una larga parte di popolazione, è legittima, nell’interesse pubblico, la limitazione della capacità comunicativa di una persona a insindacabile giudizio di un’azienda privata? Tanto più se la persona in questione è la più importante figura istituzionale di un paese, certo, ma il ragionamento è il medesimo anche se si considera l’inviolabilità (teorica) della libertà di espressione di ogni singolo individuo.
Il rischio dell’anarchia online
Dall’altro lato ci sono i pericoli di una totale anarchia sui contenuti che circolano online. Tornando a Musk, le discussioni sul futuro di Twitter hanno già allarmato soprattutto le persone appartenenti a gruppi marginalizzati. Come ha notato Gilad Edelman su Wired, «consentire di dire qualsiasi cosa sia legale significherebbe esporre Twitter al razzismo, all’antisemitismo, all’omofobia, all’incitamento alla violenza espliciti, e a cose peggiori ancora». Se Musk non sembra avere problemi nel gestire i suoi haters, Angela Watercutter sempre su Wired fa notare come il Ceo di Tesla sembri «non capire che ricevere minacce di morte nelle menzioni è probabilmente molto più spaventoso quando non si è l’uomo più ricco del mondo».
Una sentenza del Tribunale dell’Aquila
Neanche da un punto di vista giuridico la questione sembra del tutto chiara. La libertà di espressione è un principio inviolabile in tutte le democrazie occidentali, e in generale in quasi tutti i paesi dove i principali social network vengono utilizzati. Succede però che questa si scontri con le regole che ogni piattaforma si dà per tutelare la propria community – o, più realisticamente, non indisporre gli inserzionisti.
Il Tribunale dell’Aquila ha recentemente deliberato proprio su questo sottile confine, ritenendo lecite le azioni di «censura» verso contenuti pesantemente offensivi in modo diretto, ma non verso quelli che esprimano manifestazioni del pensiero, anche se riferite a movimenti la cui apologia è considerata reato, come il fascismo.
La questione del potere
C’è poi il capitolo fake news: soprattutto con l’avvento della pandemia – e sulla spinta di anni di trumpismo e di polarizzazione e politicizzazione di ogni aspetto del dibattito pubblico – tutti i social network hanno messo in campo azioni decise per arginarne la diffusione. Su questo tema la legge italiana è abbastanza chiara, sanzionando la «pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico» con qualsiasi mezzo. Anche qui riemerge il tema del potere, che nel caso dell’ecosistema social, a differenza di quanto avviene se ci limitiamo a considerare il normale decorso della giustizia all’interno di uno stato, resta in mano a un’entità privata, che delibera in modo autonomo – pur con vari gradi di trasparenza, dettati però solo dal suo senso di responsabilità sociale.
L’UE vuole responsabilizzare le piattaforme
Una svolta in questo senso l’ha data l’Unione Europea raggiungendo ad aprile un accordo politico sul Digital Services Act (DSA). La legge europea si basa sul principio che «ciò che è illegale offline debba essere a tutti gli effetti illegale anche online», come ha spiegato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Today’s agreement on #DSA is historic.
Our new rules will protect users online, ensure freedom of expression and opportunities for businesses.
What is illegal offline will effectively be illegal online in the EU.
A strong signal for people, business & countries worldwide.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) April 23, 2022
Il DSA sancisce una nuova importante forma di responsabilizzazione delle piattaforme, imponendo diversi obblighi verso quelle con più di 45 milioni di utenti attivi in Ue – social network ma anche provider di servizi come Microsoft o siti di e-commerce come Amazon e Zalando. Le piattaforme dovranno, oltre che verificare l’identità dei propri fornitori (norma che vale soprattutto per gli e-commerce), anche moderare i contenuti caricati dagli utenti sulla base delle norme vigenti nei rispettivi paesi, rimuovendo i contenuti illegali e sospendendo gli utenti recidivi.
È previsto anche quello che viene definito un «meccanismo di reazione» da attivare in casi di crisi (come la guerra in Ucraina) per adottare misure nei confronti delle piattaforme che contribuiscono alla diffusione di notizie false. Il DSA dovrebbe entrare in vigore nei prossimi mesi e, almeno in Europa, non c’è Musk che tenga.
Roberto Rafaschieri
Content & social media specialist, Blum
Immagini:
Elon Musk: Shutterstock
Twitter: Photo by Akshar Dave🌻 on Unsplash
Manifestante: Photo by Z on Unsplash