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#Brandtok, o dei brand che scoprono l’ironia sui social

Il modo migliore per farsi prendere sul serio in un social? Non prendersi sul serio. L’ironia è sempre stata un linguaggio privilegiato sul Web, ma lo diventa ogni volta di più quando la creatività dei nativi digitali migra di piattaforma in piattaforma. L’abbiamo visto succedere con il boom di Instagram ai danni di Facebook, succede ora con TikTok, oggi di gran lunga il social con l’estetica comunicativa più fresca e innovativa (di cui abbiamo già parlato qui, con riferimento alle sperimentazioni giornalistiche sul mezzo).

Nell’eterna sfida di riposizionamento che i brand devono affrontare per ritagliarsi uno spazio all’interno di luoghi digitali in continua evoluzione, da qualche settimana a questa parte sembra che le grandi (e non solo) aziende internazionali abbiano trovato il modo migliore per farsi notare su TikTok, proprio grazie ai suoi canoni e ai suoi linguaggi.

TikTok abbatte la quarta parete

Basta con l’autoreferenzialità e con la comunicazione “in giacca e cravatta”. I brand oggi si prendono in giro, scherzano, rompono la quarta parete – quel muro immaginario che in ambito teatrale separa attori e spettatori. Si mettono sullo stesso piano degli utenti che vogliono raggiungere. E funziona.

@emilyzugayReply to @adobe here you go♬ original sound – Emily’sTikTok.edu

Loghi brutti e dove trovarli

La tiktoker Emily Zugay ridisegna ironicamente i loghi di brand famosi, proponendo delle alternative oggettivamente terribili, e ai brand la cosa piace moltissimo. O quantomeno piace ai social media manager. Sì perché uno dei leitmotiv dell’entusiasmo generato dal #brandtok (tutto su TikTok ha un nome: questo hashtag identifica il trend dei grandi marchi che scherzano sul social cinese) è proprio la rottura della quarta parete che palesa la figura dell’impiegato che si occupa della pagina del brand, che parla in prima persona con l’account di lavoro.

I video di Emily (quello qui sopra non era il primo) diventano virali, e i brand cavalcano l’onda nel modo che abbiamo detto: con l’autoironia. Nel giro di poco tempo quasi tutti i loghi disegnati da Emily diventano quelli ufficiali dei brand sul loro profilo TikTok. In molti casi solo per alcune ore, in altri per diversi giorni.

«Non capisco cosa ci sia di tanto significativo nella Z e la O da giustificare una freccia che punta verso queste lettere, mi sembra uno spreco di spazio», dice Emily in un altro video, parlando del logo di Amazon. «Ho inserito del verde nel vostro logo, e poi credo di aver capito che vi occupiate di scatole quindi eccone una». Detto fatto.

La canzone-sberleffo su Jeff Bezos è virale

Amazon diventa «Amason», e per qualche secondo il nuovo logo si prende la scena sui canali ufficiali del colosso di Seattle. In un video che peraltro ha come sottofondo una versione storpiata (con il proverbiale «flauto delle medie») della popolarissima canzone dedicata a Jeff Bezos tratta dallo show Inside del comico Bo Burnham. Scelta azzeccatissima non solo perché si parla di Amazon, ma anche perché quello stesso motivetto era diventato virale proprio su TikTok.

Agli utenti questa nuova spensieratezza comunicata dalle grandi corporate piace così tanto che ne vogliono ancora. Senza nessun motivo apparente, peraltro, se non il puro gusto del gioco.

@ramblingsanchez🥦🥦🥦♬ original sound – sleepsleep

Naturalmente il gioco prosegue, e la sezione commenti diventa un raduno di «spunte blu».

Imparare il linguaggio e le regole del medium che si utilizza è fondamentale per sfruttarne le potenzialità, e per non rischiare di fare delle vere e proprie brutte figure. E per quanto surreale possa sembrare, il linguaggio di TikTok è questo: intrattenere, prendersi poco sul serio, stare al gioco – è tutto un gioco –, cavalcare il trend del momento, che poi è anche il modo migliore per ottimizzare i risultati, grazie al funzionamento dell’algoritmo.

Twitter e l’occasione #facebookdown

L’unico altro social network con dei canoni comunicativi satirici così forti e sedimentati è forse Twitter. Condannato al ruolo di eterna piattaforma di nicchia, il social di Jack Dorsey da sempre offre l’opportunità ai brand di sperimentare linguaggi difficilmente trasferibili altrove. Qui, in occasione del down delle piattaforme di Facebook di qualche settimana fa, i brand sono stati quasi costretti a farsi sentire più del solito. Non è un caso che i risultati siano stati spesso esilaranti.

Il social media manager di Unieuro

Anche in Italia abbiamo visto esperimenti simili di recente. Non su TikTok, e forse non siamo ancora pronti per una tale ventata di irriverenza, ma sul vetusto Facebook, che dallo scorso dicembre ospita periodicamente le puntate della «saga del social media manager di Unieuro». Un esperimento che però è rimasto pressoché isolato, fatta eccezione per quei brand che hanno fatto dell’informalità la chiave della loro presenza online, come Netflix. Forse un giorno anche i brand nostrani impareranno a stare sui social in modo un po’ più rilassato. Anche perché in fondo, chi i social li usa, lo fa per quello: rilassarsi, e farsi una risata.

Roberto Rafaschieri

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