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Quel che la startup insegna alla Pmi

Imparare a ragionare da startup per aprire nuove opportunità. Agli imprenditori dinamici, certo, ma anche, forse un po’ a sorpresa, alle società di consulenza che a quegli imprenditori dovrebbero fornire stimoli e spunti per cambiare marcia. E’ il cuore del libro “Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili” (Egea, 196 pagine, 26 euro) in cui Andrea Arrigo Panato, commercialista “smart”, grande esperto di innovazione, uno degli autori del blog Econopoly del Sole 24 Ore, riassume le ricette necessarie per la crescita dell’ecosistema Italia. La leva sono migliaia di Pmi dinamiche, tra i 5 e il 20 milioni di fatturato, che rischiano di non diventare grandi se non adottano al più presto pratiche “da startup”. In cosa consiste questa ibridazione? Nell’adottare i concetti di open innovation e di metodo lean da una parte; nel l’apertura ai capitali e ai talenti dall’altra. Se parlare di startup rischia di sembrare una moda, ci sono decine di esempi di come il rapporto proficuo tra Pmi dinamica e giovane impresa innovativa, possa aiutare ad evolvere il business. Ma non è solo una questione di nuovi prodotti e business model, di dati e industria 4.0. E’ soprattutto, una questione culturale, quasi genetica. Il metodo lean startup, ad esempio, è un buon esempio di come cambiare mentalità nell’approcciare nuove progettualità: MVP, sigla che sta per minimum viable product per essere veloci nell’esecuzione e pronti a reindirizzare molto rapidamente l’attività. Tra gli altri punti di contatto tra Pmi dinamiche e startup innovative ci sono anche:

  • Il fattore tempo e il costante bisogno di accelerare
  • L’approccio teso alla creazione di valore in ottica M&A
  • Il ruolo del leader e l’attenzione alla qualità del team
  • Il metodo scientifico nell’analisi e nell’utilizzo dei dati

Ragionare da startup anche se non si pensa alla famigerata exit quindi. «È centrale l’attenzione alla costruzione di valore, alla valutazione d’azienda: la logica giusta è “prepara la tua azienda come se dovessi venderla domani, ma non cederla se non è necessario”», dice Alberto Baban, fondatore di Venetwork in una delle testimonianze raccolte nel libro.

Tratti che le Pmi più dinamiche stanno già adottando. Ma in una magnifica solitudine. Difficile infatti fare diventare questi esempi una nuova cultura senza l’apporto di un terziario veramente evoluto. Su questo punto la penna di Panato, uno che la consulenza la pratica tutti i giorni, punge. Il punto è stato messo a fuoco negli ultimi anni soprattutto da Dario Di Vico, commentatore del Corriere della Sera gran conoscitore del tessuto delle Pmi del Nord. “E’ il terziario pregiato – scriveva già nel 2016 – la palla al piede della produttività italiana”. sul Corriere del 21 novembre 2019 Di Vico è tornato a chiedere a gran voce “un’indagine conoscitiva sui ritardi del terziario italiano”. “Le imprese – ma anche lo Stato – sembrano seguire la logica di un outsourcing povero e trattare i servizi come una commodity indifferenziata. E la produttività scende”. Con l’effetto che se la crescita dell’occupazione è trainata dai servizi, siamo di fronte a una crescita malata, a basso livello di produttività a e bassi salari.

Panato si concentra sulle professioni economico-giuridico ma il ragionamento vale ancora di più per la comunicazione. Tra le criticità segnalate in Restartup ci sono:

  • Il linguaggio e l’approccio diverso tra le due culture
  • La scarsa propensione all’ascolto da parte di entrambi
  • La scarsa propensione del consulente a entrare in azienda
  • L’attenzione dell’imprenditore ai risultati di breve periodo
  • La scarsa disponibilità di budget per formazione e consulenza

«Oggi – analizza Panato – le imprese in forte crescita sono spesso pioniere nel loro mercato e ciò mette in crisi molti consulenti, bravi quando si tratta di suggerire e implementare best practice, meno quando si richieda loro di ridisegnare business model. E le imprese più dinamiche non hanno né il tempo né la voglia di aspettare che la consulenza formalizzi best practice spesso da loro considerate già vecchie…Come è naturale in momenti di grande cambiamento non sempre l’azienda cliente ha chiaro ciò di cui ha bisogno; spetta quindi al consulente puntare a creare valore con i servizi che può offrire piuttosto che massimizzare il proprio fatturato di breve periodo». Solo una vera alleanza tra Pmi dinamiche, startup innovative e terziario evoluto può far cambiare passo.

Luca Barbieri

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