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Mai più senza. Lo smart working 18 mesi dopo il lockdown

Il 18 marzo 2020, nove giorni dopo l’avvio del lockdown, il team di Blum era – come tantissimi altri lavoratori in tutta Italia – totalmente disseminato: ognuno al lavoro da casa propria, con quella sensazione di smarrimento che difficilmente dimenticheremo. Quel giorno mettevamo in piedi il nostro primo evento online: un appuntamento di “Innovation Stories”, il ciclo che curiamo assieme alle testate del gruppo Media Accelerator. Eravamo neofiti di Zoom, chiusi in casa iniziavamo a scoprire la difficoltà nel gestire un collegamento via webcam, ma contavamo sulla nostra capacità – da giornalisti – di raccontare un fenomeno mentre ancora si sta compiendo e di gestire gli imprevisti con una certa sicurezza.

Tiro fuori questi ricordi perché tra i panelist di quell’appuntamento, non per caso, c’era Arianna Visentini, Ph. D. in relazioni di lavoro, presidente e socia fondatrice di Variazioni e da anni – assieme alla socia Stefania Cazzarolli – nostro assoluto punto di riferimento sul fronte del lavoro agile. In questi giorni d’estate ho ripreso in mano Smart working: mai più senza, il volume che Visentini e Cazzarolli pubblicarono in tempi non sospetti nel settembre 2019, e ci ho ritrovato spunti, riflessioni, strumenti fondamentali per chi cerca la via migliore per una trasformazione agile della propria azienda.

smart working mai più senza

Dall’emergenza alla quotidianità

Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, durante la fase più acuta dell’emergenza lo smart working ha coinvolto 6,58 milioni di lavoratori, cioè circa un terzo dei dipendenti italiani. Prima del lockdown il dato si fermava a 570mila. Una rivoluzione con effetti permanenti se lo stesso Osservatorio stima che al termine dell’emergenza lavoreranno almeno in parte da remoto 5,35 milioni di italiani.

Curare al meglio questo passaggio dall’emergenza alla quotidianità diventa dunque un tema centrale e questo ci richiede di accompagnare con grande attenzione questo cambio di paradigma, di capire che il lavoro da remoto non è “smart” se non è “agile” e prima di tutto di superare le sterili diatribe tra “smartisti” e “ufficisti” che stanno caratterizzando buona parte del dibattito pubblico sul tema. Per questo cambiamento, il libro firmato dalle fondatrici di Variazioni offre una road map efficace, i cui temi chiave sono riassunti così: innovare, digitalizzare i processi organizzativi, migliorare i sistemi di valutazione delle performance, creare contesti lavorativi all’insegna della fiducia, della collaborazione, della serenità. Un ruolo centrale, poi, è quello giocato dalla comunicazione.

Raccontare lo smart working

Una comunicazione che non può essere semplicemente quella verso l’esterno – quanti comunicati stampa in questo anno e mezzo hanno raccontato la “rivoluzione smart working” in questa o quell’azienda? Una comunicazione che riscopre invece il proprio senso più profondo, generativo, e che accompagna il processo di trasformazione agile, prima, e il suo svolgersi quotidiano, poi.

«Comunicare il progetto, definirne il senso generale e il messaggio che si intende condividere individuandone gli strumenti, è parte integrante del percorso e lo accompagna in tutti i suoi step», sottolineano Visentini e Cazzarolli, che rimarcano: la necessità di raccontare la quotidianità del lavoro agile rendendola viva, di «comunicarla in modo autentico e rendere collettivo lo sforzo richiesto per garantirne il funzionamento» sono «elementi che hanno un peso nel determinare il destino della nuova modalità di lavoro e il valore che le persone ne percepiscono».

Una pillola dall’incontro di “Innovation Stories” del 18 marzo 2020

Rovesciare il paradigma: il lavoro agile in Blum

Quando, il 9 marzo 2020, il lockdown ci ha imposto la chiusura degli uffici, “smart working” in Blum non era una locuzione oscura. Tutt’altro. Il tema ci aveva affascinato da sempre e messo alla prova da un po’. La nostra natura agile – disseminata tra Padova, Bolzano e Milano e con una rete di collaboratori in tutta Italia –, la facilità d’approccio alle tecnologie e alle soluzioni innovative, una certa abitudine al lavoro in team “non conviventi” e pure un’età media piuttosto bassa hanno da sempre rappresentato un terreno fertile per provare un approccio smart al lavoro.

Ma fino a quel 9 marzo il tutto si era tradotto nell’offrire la libertà di lavorare da remoto, senza pensare davvero a garantirne la possibilità. E il miglior risultato possibile era: una giornata di smart working a settimana per ciascun componente del team. Giornata era in ogni caso percepita come “differente”: più lavoro di backend, niente meeting con clienti, nessuna riunione con i colleghi. Inoltre, se le soluzioni per il lavoro da remoto – connettività device, strumenti digital di condivisione – erano garantite, un quadro di riferimento condiviso, un “come”, quello no.

Adattarsi costantemente al cambiamento

Non siamo arrivati al lockdown digiuni di sapere, ci mancava però il saper fare e soprattutto il saper essere lavoratori agili. Quel 9 marzo siamo entrati quasi inconsapevolmente nel nostro anno migliore dal punto di vista della trasformazione organizzativa. Abbiamo imparato, gli uni dagli altri, che cosa significano davvero delega, responsabilità, lavoro in team, intelligenza collettiva. Abbiamo investito tempo, risorse, tecnologie, passione. Soprattutto, abbiamo costruito un percorso condiviso, cercando di mettere in piedi un modello a misura delle esigenze, delle competenze, del valore di ciascun componente del team. Un modello che non si stabilizza mai, ma che si adatta costantemente al cambiamento.

Credo che il “mancarsi” fisicamente abbia rappresentato la chiave necessaria al “ritrovarsi” in un nuovo contesto agile: la sicurezza garantita dal vedersi, dal potersi cacciare un urlo da una scrivania all’altra, è stata sostituita dalla sicurezza di condividere obiettivi, tappe, metodi, responsabilità. E quelli che prima erano limiti (“Non sarà troppo complesso far seguire il progetto X da persone dislocate tra Bolzano e Padova?”) si sono trasformati in opportunità (“Quali sono le persone migliori per gestire il progetto X?”). È stato facile? No. Torneremo indietro? Non ci pensiamo minimamente.

Domenico Lanzilotta

Giornalista e imprenditore, co-founder di Blum

 

 

Immagine di copertina: foto di Mikey Harris da Unsplash

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