Content war. La sfida tra i giganti dell’industria dei videogame
La cifra con cui Microsoft si è aggiudicata ZeniMax Media e lo studio di sviluppo Bethesda (dietro al successo planetario dello sparatutto Doom) hanno scosso stampa e appassionati di videogiochi. Era il settembre 2020 e la casa di Redmond – attiva nel campo gaming da un ventennio con Xbox – aveva sborsato oltre 7,5 miliardi di dollari. Somma notevole. Dunque come si potrebbe definire quella messa nero su bianco dall’azienda in un comunicato del 18 gennaio che annuncia l’acquisizione di Activision Blizzard nel giro dei prossimi due anni? Parliamo di 68,7 miliardi di dollari.
Per chi non conoscesse il panorama videoludico globale, Activision potrebbe dire poco. Ma senz’altro i suoi titoli hanno fatto breccia anche al di fuori della cerchia dei gamer: Call of Duty, Crash, StarCraft sono soltanto alcuni dei videogiochi famosi in tutto il mondo creati dalla software house californiana. Stando agli esperti è la più grossa operazione degli ultimi tempi, motivo per cui il 18 gennaio 2022 potrebbe rappresentare una data storica per l’ecosistema.
I videogiochi, asset strategico nel metaverso
Ma cosa ci racconta la mossa di Microsoft? Partiamo da quanto detto dall’amministratore delegato, Satya Nadella: «Il gaming è la categoria più dinamica nell’intrattenimento […] e giocherà un ruolo chiave nello sviluppo delle piattaforme del metaverso. Stiamo investendo in contenuti di livello mondiale, nella community e nel cloud per inaugurare una nuova era di divertimento che metta giocatori e creatori al primo posto e renda il gioco sicuro, inclusivo e accessibile a tutti».
La buzzword, di nuovo, è metaverso. Da quando l’ex gruppo Facebook si è ribattezzato in Meta questa parola è entrata nel vocabolario dell’innovazione. E lo abbiamo visto anche all’ultimo CES 2022 a Las Vegas. Del metaverso, però, non sappiamo ancora nulla se non quanto più volte ribadito su una nuova feeling of presence che la nuova tecnologia darà agli utenti. Difficile capire come verrà declinato nel campo dei videogiochi.
Subscription economy
Restiamo dunque ai fatti. Con quasi 70 miliardi di dollari Microsoft si è aggiudicato un gigante del settore e va così ad arricchire la propria potenza di sviluppo, creatrice e ingegneristica, per produrre i titoli tripla A del prossimo decennio. Agli occhi dei gamer questo è senz’altro un elemento potenzialmente positivo, soprattutto perché Microsoft ha sposato una linea precisa in un’ottica di inclusione. Se non giocate da parecchio, sappiate che il Game Pass di Microsoft rappresenta una libreria in continuo aggiornamento con i titoli del momento disponibili su abbonamento. Pagando dunque una cifra annuale un gamer ha a disposizione decine di titoli, proprio come per le serie in una piattaforma di streaming. È il giocatore che decide a cosa giocare, senza l’ansia di fallire un acquisto (magari oneroso) di un titolo che alla fine potrebbe non piacergli.
Dalla console war alla content war
Un tempo il dibattito videoludico ruotava attorno alla questione della console war. Nintendo contro Sega, Sony contro Microsoft. Una lotta tra piattaforme di gioco. Oggi non è più così: come si legge su IGN la console war è diventata una content war, nella quale acquisizioni e fusioni potrebbero aumentare. Le console (PS5 &Co) rimangono imprescindibili, ma è l’ecosistema di gioco (spesso online) a fare la differenza nella scelta dei giocatori. Ad oggi Microsoft è il terzo soggetto gaming più forte al mondo per entrate (viene dopo Tencent e Sony) e deve competere tanto con i soggetti storici del settore, quanto con i nuovi arrivati (Meta ha i visori Oculus e sta esplorando la realtà virtuale). E poi ci sono i giocatori, sempre più agnostici e disposti a dare una chance ai titoli, magari acquistando più di una console.
I rischi per i produttori indie
I rischi tuttavia ci sono: non è detto che la potenza di queste contraeree del gaming produca per forza titoli di successo. Che ruolo verrà dato alla creatività in ambienti così grandi e strutturati? È una domanda lecita soprattutto perché è proprio dalle startup del gaming che spesso arrivano le idee e i prodotti più belli e originali. Poi c’è la questione oligopolio e regolamenti: in molti si ricorderanno gli scontri tra Microsoft e la Commissione Europea. Se è vero che Oltreoceano gli occhi sono stati puntati soprattutto contro Big Tech come Facebook (soprattutto per via del tema fake news e social), non è detto che Microsoft non desti preoccupazione per quanto riguarda la questione concorrenza.
L’elefante nella stanza: la Cina
Non si potrebbe però ragionare di videogiochi senza citare l’azienda che domina il mercato. Ci riferiamo a Tencent (e, di conseguenza, anche alla Cina). Se è vero che Pechino ha dato di recente una stretta ai videogiochi – definiti da un giornale vicino al governo una droga elettronica – con un regolamento che in buona sostanza limita le ore di divertimento online per i giocatori, il paese resta un mercato impossibile da ignorare.
Tencent, lo abbiamo anticipato poco sopra, è la più grande azienda del settore. L’hanno definita il gigante invisibile: in Occidente siamo sempre concentrati sul trio Sony, Microsoft e Nintendo. Nel frattempo ha investito ovunque: da Epic Games (software house dietro al successo planetario di Fortnite) fino a Riot Games (che controlla un’altra killer app come League of Legends). È di fatto diventato il gate d’accesso se si vuole commercializzare un videogioco in Cina.
Microsoft, Tencent, Sony e Nintendo: i giganti sono in campo. E lo è anche l’effervescente ecosistema indie. La posta in gioco? Conquistare le ore di divertimento dei gamer di tutto il mondo.
Alessandro Di Stefano
Innovation content specialist, Blum
In copertina: foto Shutterstock
All’interno: il Ceo di Microsoft Satya Nadella parla al Mobile World Congress di Barcellona (da news.microsoft.com)