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Te lo ricordi Clubhouse? Un anno dopo, nelle room si parla ancora

Google Trends sa essere spietato. Un anno fa, a cavallo tra gennaio e febbraio 2021, Clubhouse era il social network sulla bocca di tutti (noi ne scrivevamo qui), e sembrava l’alba di un’era destinata a schiudere nuove possibilità di comunicazione. A dicembre quella grande visione era stata già derubricata a miraggio, e l’app era malinconicamente transitata nelle classifiche semiserie dei più grandi flop dell’anno. Nel mezzo è successo di tutto: al di là di qualche incidente sul fronte della privacy, soprattutto quel sapore iniziale di esclusività – si entrava solo da iPhone, e solo se convocati da qualcuno già «nel club» – si è via via perso, prima con l’apertura agli utenti Android avvenuta in maggio, poi con la liberalizzazione dell’accesso, che dal luglio scorso non avviene più su invito.

Le mosse dei cofounder Paul Davison e Rohan Seth sono state giudicate da molti tardive, come una stalla aperta (anziché chiusa come vorrebbe il proverbio) quando i buoi erano ormai scappati. Vuoi per il venir meno del duro lockdown invernale – fattore inscindibile dalla fiammata iniziale del social –, vuoi per le contromisure che nel frattempo le Big Tech stavano prendendo, dando vita sulle proprie piattaforme a servizi di chat audio del tutto simili a Clubhouse. È proprio una di queste, Big G, a decretare con la spietata trasparenza dei numeri il crollo dell’interesse di massa per il primo social network basato sulla conversazione sincrona attraverso la voce. In Italia il picco delle ricerche del termine «Clubhouse» si tocca nella seconda settimana di febbraio 2021, un anno dopo il loro numero è crollato a meno di un decimo.


L’esodo dei Vip

Di questo declino si è iniziato a parlare già nella primavera del 2021, sulla scia dei dati al ribasso dei download della app. Ma dire che Clubhouse è morto sarebbe ingeneroso: è scemato l’hype e se ne sono andati i «Vip», ma la festa non è finita. Da un lato l’applicazione si è evoluta, correggendo alcune caratteristiche che la rendevano sì unica, ma anche poco interattiva e funzionale: ora è possibile riascoltare le conversazioni passate, condividere i link delle room ai propri contatti sulla piattaforma o su altri social, anche tagliando clip audio di 30 secondi che si ritengono particolarmente interessanti. È di questi giorni l’annuncio della sperimentazione di una versione per personal computer, tramite browser.

Dall’altro, forse il mezzo ha trovato una sua dimensione più congeniale, informale e rilassata. Da vero «club» insomma. Nelle prime settimane, la presenza di personaggi molto in vista del mondo dello spettacolo, della musica e degli affari aveva creato un cortocircuito tra star e pubblico, dando vita a uno strano mix di intimità e imbarazzo.

Rimarrà forse negli annali del web l’intervista-performance di Elon Musk che planò in una room all’apice della popolarità del social, cazzeggiando amabilmente per novanta minuti abbondanti. Meno memorabili altri siparietti a cui si assiteva in quelle settimane, come i surreali dialoghi tra Marco Montemagno e Michelle Hunziker (andiamo a memoria) che discorrevano dei fatti loro per la gioia di migliaia di utenti in ascolto. Dopo l’iniziale ebbrezza, grandi nomi e grandi network si sono presto ritirati da un territorio forse non ostile, ma che non sembrava offrire prospettive di monetizzazione nel breve periodo.

Chiacchiere, jam session e coworking

«Clubhouse è diventato una sorta di grande circolo». A dirlo è Antonio Gallucci, sassofonista e animatore di diverse room, gli eventi a tema, dedicate alla musica e ad altre passioni culturali. «In Italia gli utenti attivi saranno in tutto un migliaio – è la stima di Gallucci – con una buona fetta formata da addetti ai lavori. Sono nate nuove amicizie e occasioni di networking». Gallucci fa un uso piuttosto creativo del mezzo: «Il mio club, Italy Jazz Club! Live!!, conta 4300 membri e le dirette nelle singole room ne raccolgono spesso più di 200. Suono dal vivo o metto musica in streaming, come fosse una stazione radio. La sera a volte trasmettiamo delle jam session, con amici che suonano in presenza con me e, a volte, anche con altri musicisti collegati, nonostante qualche problema di latenza».

Il sassofonista suggerisce uno stretto collegamento tra le restrizioni anti-Covid e le presenze nelle stanze virtuali. «L’apertura agli utenti Android, l’anno scorso, ha portato a uno scarso incremento del pubblico – spiega – perché coincideva con le prime riaperture dopo il lockdown. Anche per questo i nuovi utenti entrati in quel periodo non se ne sono innamorati, perché sono arrivati in un periodo di stanca. Nelle ultime settimane, in contemporanea con il ritorno di parziali restrizioni e con il gran numero di persone che si trovano in auto-isolamento, ho notato un incremento delle presenze».

adam mckay clubhouse

Federico Cecchin è un illustratore e un anno fa co-creatore, insieme alle professioniste del markering Ana Maria Fella e Marta Basso, di «ClubItalia», la prima community italiana a nascere sul social network. «Vantava cento professionisti che creavano decine di room al giorno su argomenti variegati, dallo sport alla psicologia all’arte – racconta –. Un periodo bellissimo, pieno di entusiasmo. Oggi Clubhouse ha perso molte persone per strada». Cecchin si è ritagliato un ruolo di moderatore e di disegnatore dal vivo: «Ho messo sempre a disposizione la mia arte per rendere le room piacevoli e originali. In sostanza disegno delle vignette a tema con l’argomento di cui si discute e le condivido nella mia foto profilo per mostrarle a tutti».

Tra i club più attivi citati da Cecchin ci sono «Musica italiana», fondato da Francesco Altobelli e dal regista di videoclip Marco Salom, «Culturaitalia» di Andrea Valeri, «Mezzogiorno di gioco» curato da Luca Borsa e dedicato al gaming. Un aspetto interessante è quello del coworking: diversi professionisti usano le room per condividere il tempo di lavoro a distanza.

Netflix e NFT

Non potevano mancare gli NFT: su Clubhouse si incontrano artisti che stanno esplorando il mondo dei Non-Fungible-Token. E le celebrities non se ne sono andate del tutto. Il 14 gennaio è stata organizzata una visione collettiva del film Don’t Look Up con il regista Adam McKay collegato in diretta.

Navigando tra le stanze virtuali salta all’occhio un vuoto, quello dei gruppi dedicati a marketing, startup e tecnologia che spuntavano come funghi nelle settimane dell’hype, soppiantati da argomenti di conversazione meno impegnativi e seriosi. Come se le persone cercassero un flusso sonoro che faccia loro compagnia durante la giornata, più che una vetrina dove mettere in mostra le proprie skill professionali. Come una radio, insomma, ma con in più la possibilità di contribuire in prima persona alla costruzione del palinsesto.

Twitter, Facebook e LinkedIn

A prescindere dalle evoluzioni di Clubhouse, e da dove lo porterà la ricerca di una sua specifica dimensione, il dato innegabile è che il social per sole voci ha costretto tutti i competitor a ripensarsi integrando funzioni audio, sulla scia del crescente successo dei contenuti da ascoltare, certificato già ben prima di Clubhouse dall’ascesa del podcast. Il 2021 è stato un anno caratterizzato dal succedersi di questi aggiornamenti.

Il primo a muoversi è stato Twitter, che il 3 maggio ha lanciato Spaces, molto simile a Clubhouse ma con maggiore interazione tra gli utenti. Di conseguenza in Italia, ad esempio, una piccola ma influente «bolla» di giornalisti e commentatori dei fatti politici del giorno si è trasferita sul social cinguettante, in qualche modo «ritornando a casa».

In ottobre è arrivata anche in Italia la mossa di Mark Zuckerberg con le Live Audio Room, collegate a Messenger, dove è possibile creare stanze virtuali attivando anche il video. In modo simile, LinkedIn sta testando una soluzione per consentire eventi virtuali in diretta, che dovrebbe concretizzarsi in un primo momento solo in modalità audio e successivamente anche in video. Una scelta che mira a integrare, oltre alle funzionalità tipiche di Clubhouse, soprattutto quelle delle piattaforme di videoconferenza che, da Zoom in giù, con la pandemia sono divenute parte della vita quotidiana per milioni di persone in tutto il mondo.

Giulio Todescan
Content & media relations strategist, Blum

 

Photo by William Krause on Unsplash

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